Cristina Petrelli

STANDO AL GIOCO
Il pensiero di entrare in un disegno o in un’opera d’arte famosa ha sfiorato un po’ tutti noi.
Ciò sembrano suggerire i lavori appartenenti alla serie “Play with me”, che Marina Bolmini presenta in questa personale. Molteplici le chiavi di lettura attraverso le quali l’intero progetto e, dunque, ogni singola opera esposta, possono essere visti. L’artista entra all’interno di opere d’arte contemporanea ben note, possiamo dire storicizzate. Un ruolo importante in questo processo, come d’altronde espresso nel titolo, ha la componente ludica. L’artista stessa, riconoscibile per specifiche caratteristiche fisiche, come il tatuaggio, gli zigomi pronunciati, le labbra carnose, i capelli biondi corti, si diverte a sostituirsi ai soggetti delle opere. Impersona, di volta in volta, dalle modelle di Vanessa Beecroft a Cindy Sherman nella serie “Untiteled film still” e non solo, facendo un passo indietro, arriva a giocare con la Pop Art, con Warhol e Lichtenstein. Ma l’invito al gioco è anche per lo spettatore. Il fatto di assumere le sembianze di un manichino, sta a suggerire come questo oggetto dalle fattezze umane, possa venire spostato a piacimento. Possiamo divertirci collocando la Barbie Marina dove vogliamo, in qualunque contesto possa stuzzicare le nostre fantasie. E’ chiaro come tale meccanismo annulli la referenzialità verso l’opera d’arte. Ed il riferimento alla Pop Art non è certo casuale. Non è stato forse Warhol ad affermare: “ Sarebbe magnifico se si usasse più spesso la stampa serigrafia, così nessuno potrebbe dire se un quadro è veramente mio o di qualcun altro “. Così la Bolmini si appropria dell’opera di riferimento e nel riproporla non si preoccupa di modificare uno o più aspetti; non è certo suo interesse riportare l’opera in modo esatto. Particolare da non tralasciare è come vengano cancellati gli attributi sessuali dal proprio corpo, rappresentato sotto forma di manichino. In tal modo viene resa esplicita la contraffazione lasciando cadere il concetto di autenticità e dichiarando la riproducibilità dell’opera senza alcun rispetto. Un’impronta sociale che nasce e si alimenta all’interno dello stesso sistema artistico. Soggetto/Oggetto del discutere è proprio l’opera d’arte. D’altronde Bolmini riproduce l’opera tenendo conto della modalità di presentazione originaria, dal colore alla tecnica, dalla composizione al formato, dal vetro alla cornice. Un’attenzione che permette di concentrarsi sul concetto di stile, leggendo l’opera in chiave prettamente artistica. Risulta chiaro, dai lavori esposti, come siano sufficienti alcuni, determinati, elementi per individuare un artista, per far attribuire un’opera. E’ facile pensare, poi, che Bolmini abbia selezionato opere di riferimento secondo i propri gusti, in base a ciò che ritiene più significativo. Un processo che sembra concretizzare un desiderio, quasi come se l’artista, entrando nell’opera, travestendosi e diventandone essa stessa parte, esprima la voglia di esserne lei l’autrice. Una chiave di lettura psicologica che può essere intesa anche in senso metaforico. E’ chiaro, infatti, come determinate opere d’arte, una volta create, diventino dei punti dai quali partire. Opere che hanno cambiato le cose, che non possono essere ignorate. Un atteggiamento che interessa tutti, ma tanto più chi si sente travolto dal vortice dell’arte, chi non può fare a meno di creare. Da artista, Bolmini, ha provato tale sensazione più volte, venendo influenzata e ricevendo stimoli e sollecitazioni per il proprio lavoro. Un processo di appropriazione interiore che avviene ogni volta e che, con i lavori presentati, viene concretizzato, reso visibile e tangibile.

Dal catalogo "Sfogo n° 6 - Play with me", galleria Marconi, Cupra Marittima, 2006